I lavori di
Vincenzo De Mita a
Forino
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"Morte di San Giuseppe",
Chiesa di Santo Stefano |
Estratto e adattato da:
"Vincenzo De Mita,
appunti sulla vita e sulle opere",
di Celestino Grassi,
Roma 1985
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Pochissime sono ad oggi le notizie sulla vita di Vincenzo De Mita. La tradizione vuole che
sia nato a Foggia: si teme che, in mancanza di documenti, questa notizia poggi fatto che nell'ambiente era noto come "il Foggiano" e che talvolta aggiunse
alla propria firma tale qualifica; non è da escludere che comunque
possa essere nato in qualche paese della provincia. Il Gambacorta (Gazzettino Dauno"
n. 34 del 21-X-1972),
già Direttore dell'Ufficio di Foggia della Soprintendenza ai Beni Architettonici, aveva
tratto dal Catasto onciario di San Severo del 1753 la seguente notizia: "Filippo De
Mita, potatore, di anni 25; Vincenzo, figlio, di anni 2..."; di qui deduceva "...se questo Vincenzo è l'artista che dipinge a Foggia e a Napoli dal 1768 al 1821,
dovremmo dire quindi che egli è nato a San Severo verso il 1751".
Carlo Villani accenna a due pittori, Vincenzo e Raffaele De Mita, che altri studiosi
dicono essere fratelli; più
precisamente del primo dice: "...fu discepolo del celebre Francesco De Mura, cui
fece molto onore, come si rileva da due quadri che si ammirano in Foggia, l'uno nella
chiesa della Addolorata, l'altro in quella di S. Agostino...". Di Raffaele dice invece:"...
il pittore, nacque a Foggia e fiorì nel principio del secolo passato. Tra le molte
opere di lui sono degne di nota gli affreschi del soffitto della chiesa del Gesù Nuovo di
Napoli. Morì nell'anno 1829...". |
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Chiariremo nel seguito che c'è qualche inesattezza nelle
suddette informazioni, probabilmente dovute al fatto che i
due artisti specialmente se fratelli, lavoravano nella
stessa bottega e per gli stessi clienti. Ma tralasciando
per ora di addentrarci in dubbie ed incerte biografie
parliamo invece della attività artistica del De Mita.
Prima di tutto questa va inquadrata nel momento storico
che l'arte pittorica andava vivendo. Nel XVIII secolo assistiamo ad un progressivo affievolirsi della committenza
laica, che per tutto il '600 aveva esercitato una funzione importantissima come veicolo di
nuove idee: essa aveva in particolare agevolato lo scambio ed il confronto di diverse
esperienze contribuendo in maniera determinante a fruttuosi innesti ed all'evoluzione di
nuovi canoni. Va invece sempre più affermandosi la committenza ecclesiastica,
sensibilissima alla programmatica pianificazione del culto e della devozione, soprattutto
di quella mariana. Ne deriva in pratica una fase di affermazione e diffusione su vasta
scala del linguaggio barocco, di scuola solimenesca o giordanesca, elevato al rango di
ideale strumento di divulgazione di principi religiosi da tradurre in pratica devota,
anche attraverso una capillare distribuzione dei nuovi messaggi nelle più remote chiese
della provincia. Su queste basi muta profondamente mente anche la tematica pittorica:
scompaiono i truculenti martirii pervasi di sangue e di sofferenza i personaggi dotati di
corposa e carnale tangibilità; sugli altari predominano le glorie, le apparizioni, le
visioni estatiche che con enormi tele tendono a dilatare lo spazio anche in senso
scenografico. E' in questo contesto che si forma e lavora Vincenzo De Mita, ed è
sintomatico che tutti i suoi lavori siano di soggetto religioso.
La sua prima opera conosciuta è una Madonna del Rosario, una tela di cm. 205 per 155,
firmata e datata, oggi conservata nella Pinacoteca Comunale di Foggia ma proveniente dalla
locale chiesa dell'Annunziata. |
"Deposizione di
Gesù dalla Croce", Chiesa di Santo Stefano |
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"San Luigi", Chiesa di Santo Stefano |
L'opera,
che porta sul piedistallo la scritta "Vincentius de Mita Fecit Anno Domini 1768" è una copia fedelissima della Madonna
del Rosario dipinta ai primi del '700 da Paolo De Matteis. ... Possiamo dunque
ipotizzare che la sua prima formazione artistica sia stata
acquisita copiando fedelmente opere dì pittori già
affermati. Nel 1779 la fama del De Mita ha già oltrepassato i confini della provincia e Vincenzo
comincia a lavorare nella vicina Irpinia, dove tornerà spesso in futuro.
Si apre a questo punto il periodo " napoletano " del De Mita, che completa la
sua preparazione alla scuola del De Mura e che viene chiamato a lavorare in alcune delle
chiese più esclusive della capitale dei Regno. Nel 1788 Giuseppe Sigismondo scrive nella
"Descrizione della città di Napoli e suoi borghi"che nella chiesa di San
Nicola dei Padri Pii Operai di Napoli "il quadro sulla porta della
Sacrestia e quello sull'altra porta a questa corrispondente sono di Vincenzo detto il Foggiano, discepolo di Francesco De
Mura" del quale, bisogna aggiungere, il De Mita fu tra gli allievi il più
ligio imitatore, riprendendo schemi, modo di comporre,
festosità policroma e perfino particolari tipici
dell'abbigliamento. E soprattutto al maestro si era
ispirato per quel suo modellare delicatamente i personaggi
con colori pastosi e dolci, quel porli sereni e solenni in
una scena dove l'armonia generale costituiva obiettivo
prioritario sulla drammaticità dell'evento. Di conseguenza
non desta meraviglia il fatto che in passato alcuni
scrittori identificarono l'autore dei due quadri nello
stesso De Mura; così come non ci meraviglieremmo se
scoprissimo che alcune opere firmate De Mura conobbero in
realtà soprattutto il pennello del De Mita. ... Non è noto come e chi abbia introdotto il giovane Vincenzo
presso i Padri Pii Operai. |
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Possiamo però notare che nella stessa chiesa di San Nicola avevano lavorato sia Paolo De Matteis sia Francesco De Mura.
Inoltre è bene ricordare che i contatti tra i Padri Pii e la provincia foggiana erano
divenuti molto intensi fin da quando un. membro dell'Ordine, Monsignor Emilio Giacomo
Cavalieri, aveva retto con notevole zelo la diocesi di Troia dal 1694 al 1726, promuovendo
ed incoraggiando non salo una serie di attività tipiche del propria ministero ma diverse
altre più propriamente artistiche e culturali. Da notare inoltre che il Cavalieri
(1663-1726) era zio di S. Alfonso de' Liguori, la cui madre era appunto Anna Cavalieri.
...
Negli anni tra 1790 e 1805 il De Mita dové probabilmente ritornare a Foggia. Infatti in
questo periodo la sua produzione è concentrata nel foggiano e nell'Irpinia. Nel capoluogo
dauno aveva assunto valore quasi emblematico per l'intera Capitanata la ricostruzione,
dopo il terremoto deI 1731, della locale cattedrale il cui interno era stato completamente
rifatto con l'intervento del De Mura ("Moltiplicazione dei pani" nella controfacciata) e dei suoi seguaci De Majo e De Mita.D'altra
parte con obiettività che vuole essere priva di cinismo, bisogna ammettere che il
succedersi dei terremoti in Campania ed in Capitanata creò numerose opportunità di
lavoro per i pittori di quel secolo, visto il gran numero di chiese e monasteri più volte
rovinati e rifatti; dei numerosissimi particolarmente gravi furono quelli del 1694, dei
1702, del 1732, del 1739, del 1805. ...
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Dello stesso
periodo sono l'Ultima Cena datata 1805, di circa due metri di
base ed in forma di lunetta, con reminiscenze leonardesche e con i colori appesantiti dal tempo, che
si trovava nella Cappella del Santissimo nella chiesa dell'Assunta di Frigento,
ex-cattedrale ed ora chiesa madre, e la già citata Assunta, posta nella chiesa madre di
Morra. Quest'ultima presenta una Vergine con le mani non del tutto congiunte,
con mantello azzurro e veste bianca, posta in posizione centrale;
ai suoi lati un S. Pietro con la testa china ed un altro Santo,
probabilmente S. Paolo, visto che la chiesa era intitolata ai
santi Pietro e Paolo, col volto proteso verso la Madonna; in alto
vi sono degli angioletti ed in basso un grande angelo bianco. ...
Nell'Ultima Cena il Cristo è tra i discepoli, gli occhi socchiusi in assorto pensiero,
il capo leggermente chino verso sinistra. Sulla sua veste rossa si svolge un manto blu;
solo due apostoli non guardano a lui. La tavola, in forma di ferro di cavallo, è coperta
da una bianca tovaglia. ...
Un capitolo a parte è dovuto a Forino, dove il De Mita lavorò tra il 1794 ed il 1798;
qui si conservano ben sei tele. Più precisamente esse sono:
A) Chiesa di S. Stefano protomartire
1) Sul primo altare a sinistra: S. Luigi, firmato e datato
1798. Misura cm. 123 per 200, presenta delle sgranature e dei sollevamenti di colore. Il
Santo è reso con un misticismo che conferisce alla scena un senso di pace e di serenità.
Le vela ture di colore alternano nell'opera solidità e levità evanescente.
2) Secondo altare a sinistra: Morte di S. Giuseppe, firmato "Vinc. De Mita
P. 1794 ". Misura cm. 123 per 200 e presenta diverse
scrostature. Il Santo campeggia in primo piano nell'abbandono
della morte; accanto alla Vergine in muto e composto dolore.
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"Madonna con
Bambino", Chiesa di Santo Stefano |
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"Madonna Addolorata
con Crocefisso", Chiesa SS Rosario |
Il
Cristo, in posizione centrale, indica il cielo mentre sui
volto dell'angelo e dei personaggi in secondo piano si colgono
sentimenti di partecipazione al mistero.
3) Terzo altare a sinistra: Deposizione di Gesù dalla Croce, firmato e datato 1795.
Misura cm. 123 per 200 ed è abbastanza sciupato: i vistosi rigonfiamenti e qualche caduta
di colore sono accompagnati da un totale generale annerimento dovuto al fumo e
probabilmente a vernici sovrapposte. Le figure del Cristo e della Madonna sono collocate
in un bellissimo succedersi di luci ed ombre, ma l'artista appare più attento a fermare
la espressione dei volti che alla resa plastica dei corpi.
4) Secondo altare a destra: Madonna con Bambino tra Santi.
Misura cm. 123 per 200 e presenta numerosi sollevamenti e
cadute di colore. In basso a destra si legge
"Vincentius De Mita Fecit A.D. 1795 ". Anche se alcuni elementi (il volto
di S. Nicola a sinistra ed il donatore fanciullo in primo
piano) fanno presupporre che l'opera abbia subito successive
manomissioni, l'insieme iconografico e cromatico si presenta
piuttosto mediocre, soprattutto per l'appiattimento e la
staticità delle figure.B) Chiesa del Santissimo Rosario del Murato
1) Navata destra: Madonna Addolorata con Crocefisso;
2) Navata sinistra: S. Antonio da Padova.
Queste due tele non presentano, almeno ad un primo sommario esame, la firma del De Mita.
Ma sono tali e tanti gli elementi di similitudine con le opere conservate nella vicina
chiesa di Santo Stefano, da rendere più che probabile l'attribuzione al De Mita, cosa
peraltro già affermata da altri autori (G.Vespucci: "
Forino attraverso i secoli " Avellino 1982, vol. II pag. 289). |
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