Forino e la sua varietà
dialettale
(Marina Riccardi) |
Ci fa piacere proporvi
alla lettura un interessante saggio della dott.
Marina Riccardi
FORINO E LA SUA VARIETA’ DIALETTALE
|
INTRODUZIONE
Nella mia analisi sociolinguistica prenderò in esame
la varietà dialettale del mio paese, Forino,
soffermandomi ad analizzare alcune poesie del poeta
forinese Enzo Finelli. Laureato in filosofia, “ ‘o
professor”, così noto a Forino, è stato per lungo
tempo maestro di scuola elementare e dunque non solo
vicino ai bambini e impegnato nella direzione e regia
di numerose recite scolastiche, ma coinvolto tra
l’altro nella vita sociale del paese. Dunque, sebbene
la maggior parte delle sue poesie sia di tipo
intimistico, e riguardante argomenti molto personali,
ve n’è una vasta gamma dedicata alle tradizioni
religiose e popolari del paese. Mi interesserò tra
l’altro di una canzone della tradizione religiosa e
alcune parole legate alla cultura agricola del mio
paese.
2.
CENNI STORICI
Forino è un piccolo borgo di circa cinquemila abitanti
che, sebbene faccia parte della provincia di Avellino
e disti dal capoluogo irpino circa 10 km, si trova
nelle immediate vicinanze anche di un altro importante
capoluogo campano, Salerno, venendo dunque a occupare
una posizione centrale, che da sempre ha fatto sì che
Forino fosse un centro ben collegato e sede di diverse
culture. Fondato probabilmente in epoca
romana, il primo insediamento stabile fu impiantato
nella frazione Castello, in una posizione
strategicamente importante, perché fornita di difese
naturali. Come tutto il Meridione, anche Forino fu
interessato dall'attraversamento dei vari popoli
invasori. Le prime citazioni sul casale Furinum
risalgono al 667, anno di una grande battaglia tra i
Bizantini guidati da Saburro contro le truppe
longobarde del Duca di Benevento Romualdo. Alcune
fonti, inoltre ci informano che intorno al 300 D.C. il
"locus Forino" comprendeva il luogo di amministrazione
della giustizia della vicina Abellinum. Infatti in
molti scritti dell'epoca si riferisce dell'esistenza
del loco Praetorio in pertinentiis Abellini, e
il luogo più vicino ad Abellinum che conserva tale
etimologia è la nostra frazione di Petruro. Nell’anno
568 Forino passò sotto la dominazione longobarda e
divenne un importante centro culturale, sede notarile
e giudiziaria. Da questo momento Forino diviene parte
del principato di Salerno. La necessità di uno
schieramento difensivo sul confine fece assumere a
Forino e alla sua collina Castello, un’importanza
fondamentale, da cui derivò la decisione di costruirvi
un gastaldato, cioè un distretto militare importante
che prenderà il nome di Castaldatum Furini. In
questo periodo fu ampliato e fortificato il castello
che in epoca bizantina era stato costruito come un
semplice fortilizio. Il Castaldatum Furini fu
dunque continuo terreno di scontri e battaglie.
Nel 968 vi fu un nuovo attacco delle truppe bizantine
che, avendo occupato il ducato di Salerno, estesero il
proprio dominio anche su Forino. Pochi anni dopo,
intorno all’anno 1000 una guarnigione militare
composta da guerriglieri normanni giunse nel
territorio di Salerno e le truppe, con a capo
Guglielmo il Normanno, si impadronirono di Forino. Più
tardi il feudo entrò a far parte del “principato e
terra Beneventana”, quindi sotto il dominio di
Federico II. Nel 1622 il Regno di Sicilia fu occupato
dagli Angioini, ma solo nel dicembre del 1268 Carlo d’Angiò
concesse Forino, unitamente ai feudi di Nola e
Atripalda, a Guido de Monfort, nobile
francese. Nell’anno 1291 morì il conte Guido de
Monfort e la sola ereditiera del feudo fu la figlia
Anastasia de Monfort, moglie di Romanello Orsini. Da
questa data comincia la storia del legame tra la
famiglia Orsini e il feudo di Forino, ancora oggi
ricordata con una tradizionale sfilata in abiti
d’epoca. Il feudo visse un momento molto proficuo: le
condizioni economiche erano buone e la cultura era
particolarmente curata. Durante la dinastia degli
Orsini, inoltre il feudo aveva accresciuto i propri
casali ed era diventato uno dei possedimenti più
importanti della famiglia. Nel dicembre del 1499,
Federico II d’Aragona donò Forino al consigliere
Giovanni Ciciniello e da questo momento il destino del
feudo iniziò a passare da un feudatario all’altro,
fino a essere venduto, a Mario Cecere, un feudatario
duro e intransigente; egli fece di tutto per rendere
più gravosa la condizione dei vassalli e per
arricchire il titolo feudale di altri diritti. Nel
1604, la famiglia Cecere, ormai coperta di debiti,
vendette Forino e casali per pochi ducati. Comincia
dunque a Forino la signoria dei Caracciolo che tennero
il dominio sino alla cessazione della feudalità. Essi
furono feudatari attenti e aperti alle richieste di
libertà e giustizia, migliorarono i rapporti con
l’Università e fecero abolire le gabelle. Nel 1604 la
Regia autorità elevò a titolo di principato la terra
di Forino e lo stesso Ottavio Caracciolo a primo
principe di Forino. Nel 1647 a Napoli scoppiarono i
moti di Masaniello. La notizia di questi tumulti si
diffuse in tutto il reame e in molti feudi si ebbero
manifestazioni di consenso all’azione di Masaniello.
Anche a Forino arrivarono tali notizie e il popolo
subito si radunò in protesta. Il coraggio e la
risolutezza del popolo e delle Università non sfuggì
alla principessa Marzia Carafa, amministratrice del
figlio, il principe Francesco. La nobildonna convocò
subito il governo delle tre Università del feudo e
concesse lo Statuto, un’importante testimonianza di
ottenuta libertà e giustizia sociale. Con la
concessione dello statuto ebbe inizio un’azione di
risanamento economico che però non durò a lungo a
causa dello scoppio di una tremenda pestilenza, nel
1656 che causò la morte di duemila persone, ma anche
questa volta il popolo di Forino reagì con grandi
riforme. Nel 1711 Maria Caracciolo divenne principessa
di Forino. I rapporti tra l’Università e il principato
comunque continuavano a essere critici. Con il passare
degli anni non fu più possibile giungere ad alcuna
decisione sia per i problemi collettivi, sempre più
insormontabili. Nacque così l’odierno Consiglio
Comunale con il quale si riuscì a snellire la vita
amministrativa dell’Università perché il Sindaco e gli
“Eletti” ebbero conferite maggiori facoltà e più ampio
potere decisionale. Nella notte del 26 luglio 1805, la
terra di Forino fu colpita da un forte terremoto. I
danni furono gravissimi, e molti fabbricati crollarono
completamente ma furono anni operosi per Forino in
quanto il Comune ebbe la possibilità di destinare
somme di denaro per le opere pubbliche e per il
miglioramento dei servizi. Tutto ciò perché non vi era
più l’obbligo di pagare i diritti feudali e i diritti
regi. I Caracciolo ebbero il possesso del paese fino
al 1806, anno di abolizione dei diritti feudali. A
Forino c’è ancora la loro residenza estiva e sebbene
negli ultimi anni fosse ridotta ormai quasi a una
rovina, è stata recentemente sottoposta a lavori di
ristrutturazione che non sono però ancora terminati. |
Furino-
Enzo Finelli
‘E nu paese bello e forte assai;
nce truov ‘a crianza,
amicizia, ‘a bontà!
Si gir stu munn, nun truvarraje
a ggente ca cresce, pasce e camp ccà!
Chell ch’è strano, ca nun me cunvince
è pecchè maj a ‘sta ggente aggraziata,
tant aggarbata, si ‘a man nce stringe,
nun te dà retta… Pecchè penz a n’at!
Nisciun s salva, so tutt accussì?
E vvot t’accucchie, però t va stort!
E vvot nce pruov, ma po’ l’è fernì!
Pensann ‘a faccia c’ognuno se porta
Te venen ‘e nierv, vuliss sparì!
Si po’ nce rifliett:
Ma che me ne ‘mbort!
|
Analisi linguistica del testo
Furino:
la O diventa U per metafonesi.
‘nce:
deriva dal latino INCE. Usato qui con funzione
locativa e con aferesi della I iniziale. È tipico dei
dialetti meridionali.
Truov:
il dittongo, assente in fiorentino si deve alla
metafonesi campana.
‘a:
l’articolo dimostrativo LA è usato qui nella sua forma
aferetica.
munn:
l’assimilazione del nesso ND in NN è tipico della
varietà dialettale campana e si deve forse al sostrato
osco-umbro.
Truvarrai:
metafonesi; la O diventa U.
a ggente:
raddoppiamento fonosintattico.
Chell:
dimostrativo tipicamente napoletano. Deriva da ECCE
ILLUM e da una probabile forma *ECCU che ci da un
suono non palatalizzato.
Pecchè.
RC diventa CC per assimilazione.
Aggarbata:
prostesi di AG
Penz:
sonorizzazione dell’alveolare fricativa.
At:
sta per “Altro”. Da ALTERUM latino, si ha prima la
caduta della desinenza finale, e poi degli altri
suoni.
Nisciun:
metafonesi di E in I. palatalizzazione di S avanti
all’occlusiva.
Sò:
apocope.
Accussì:
metafonesi e prostesi.
T’accucchie:
termine tipicamente dialettale che sta a significare
“ti metti insieme”.
Pruov:
metafonesi.
Fernì:
metatesi.
Pensann:
assimilazione del nesso ND in NN.
Nierv:
metafonesi.
Vuliss:
condizionale tipico napoletano.
‘mbort:
aferesi di I iniziale e successiva sonorizzazione
dell’ occlusiva bilabiale.
LA TRADIZIONE RELIGIOSA LOCALE
Alla presenza bizantina, risalente al 600 d.C., Forino
deve il culto, ancora oggi vivo, di San Nicola di
Bari, vescovo di Mira, intorno alla cui figura il
paese si stringe in una devota e sincera fede,
testimoniata tra l’altro dalle feste e dai riti che
più volte si ripetono nel corso dell’anno. Durante il
principato dei Caracciolo, inoltre un evento tragico,
quale fu la tremenda eruzione del Vesuvio aggravata da
numerose e forti scosse di terremoto avvenuta nel
1631, sconvolse la vita degli abitanti di Forino. Il
popolo, che versava già in condizioni miserevoli,
sembrò in questa occasione rinnovare e riconfermare la
fede nel suo Santo Patrono e trovare unico conforto e
forza nella fede cristiana. La leggenda vuole che
tutto il popolo di Forino e casali raggiunse in
processione la chiesa di S. Nicola sul castello nella
completa oscurità perché il sole era oscurato dalla
pioggia di cenere. La sommità della collina venne
raggiunta, sotto la “ pioggia di cenere e lapilli”,
dal popolo in preghiera. Durante la celebrazione della
messa cessò la caduta di cenere e lapilli , il cielo
divenne nuovamente chiaro e Forino fu salva. Questa è
la leggendaria storia che si tramanda : di certo è
che, da secoli, ogni anno, il giorno 14 del mese di
marzo, dalla chiesa di S. Stefano del Casale Palazza,
parte una processione di fedeli che cantano litanie
antiche, trasportando croci, e raggiunge il santuario
del ringraziamento dello scampato pericolo. |
O 14 ‘e Marzo-
Enzo Finelli
Sciocca cenere, ‘o ciel è scuro,
male tiemp, ‘a ggente surreje!
Tremm a terra! Chin e paura,
se guardan attuorn! Se preje!
Ndo Sant ncopp a muntagna
O figli s’acchiappa a mamm!
Aria ‘e tempest, ‘o tiemp nun cagna!
Luntan, luntan se vern e fiamm!
‘a cennere chiove a zeffunn;
s’abbraccn un cu ll’at;
se penz c’ ‘a fin ro munn,
senza scamp foss arrivata!
Pa’ paur ‘a Fede è cchiù forte,
tutt ‘a ggent accummenc a prià
- Santo Nicò scanzec a mort
Racc na man, facc campà!
Ogn’ann venimm ca ncopp
Co’ chiov, co’ fridd, co’ sole!
Pe’ chill che vennen ropp
Co’ cor t ramm a parola:
- nun scordan chesta jurnat,
nun scordan chell ca ‘e fatt
e ogn’ann, stu juorn è ‘mpignat
sul p Te… comm a nu patto!
|
Analisi linguistica del testo
Sciocca:
la palatalizzazione di S davanti all’occlusiva è
tipica della varietà campana.
Surreje:
tipicamente napoletano. Usato col significato di
“sorreggere”.
Tiemp:
metafonesi.
Chin:
il nesso etimologico PL che in fiorentino diventa PI,
in napoletano si risolve in CH-.
Attuorn:metafonesi.Preja:
la g si è trasformata in iod.
Ndo:
deriva dal latino INDE. Ha subito un metaplasmo nella
vocale finale e l’aferesi della I iniziale.
‘o:
aferetica. Sta per “lo” che deriva da ILLUM latino.
Dopo la caduta di M finale e di IL iniziale la U si
chiude in O.
Cagna:
sta per “cambiare”. L’ambivalenza G/B è tipica del
passaggio dal latino all’italiano. In epoca medievale,
troviamo l’ambivalenza dei verbi CAMBIARE-CANGIARE. In
questo caso il verbo ha subito anche metatesi.
Luntan:
metatesi.
Veren:
rotacismo.
Cennere:
raddoppiamento tipico napoletano.
Zeffunn:
oggi si è quasi perso nell’uso napoletano. Significa
“in gran quantità".
Penza:
sonorizzazione della alveolare fricativa.
Munno:
il nesso ND si trasforma in NN nella varietà campana.
Cchiù:
il nesso etimologico PL che in fiorentino diventa PI,
in napoletano si risolve in CH-. Raddoppiamento
fonosintattico.
Ggente:
raddoppiamento dovuto al neutro.
Accumencia:
prostesi di ac.
Prià:
la G diventa iod. Si tratta di un infinito tronco in
–à. Tipico del campano (cantà, mangià, ecc).
Nicò:
apocope di LA.
Scanzec:
sonorizzazione dell’alveolare fricativa e metafonesi
dovuta alla I finale che è apocopata. Sta per
“scansaci”.
Mana:
metaplasmo. Per un certo periodo c’è stata anche la
forma in –a. Così come esisteva per es. le mane. Tutto
per effetto di un passaggio da un sistema latino a 5
declinazioni ad un sistema volgare a 3.
Campà:
infinito tronco in –à.
Venimm:
assimilazione di –a in doppia M.
Co’:
CON apocopato.
Chiove:
il nesso etimologico PL che in fiorentino diventa PI,
in napoletano si risolve in CH-.
Chill:
dimostrativo tipicamente napoletano. Deriva da ECCE
ILLUM.
Ropp:
rotacismo.
Ramm:
rotacismo.
Chesta:
dimostrativo tipicamente napoletano. Deriva da ECCE
ILLUM.
Jurnata:
G+I in napoletano rimane jod.
‘mpignat:
aferesi di I e apocope di O.
Altra reminescenza della presenza bizantina è il culto
di “Mamma Schiavona” ovvero la Madonna bizantina il
cui quadro, attribuito tradizionalmente a San Luca, è
conservato nell’abbazia di Montevergine, monumento
nazionale italiano. L’ultimo sabato di Maggio, i
forinesi vi si recano in pellegrinaggio, intonando
questo canto: |
Alla Madonna Di Montevergine
– Canto popolare
Chi vo grazie ra sta Vergine
Ca sagliess a Montevergine
Chi vo grazie ra sta Mamma Schiavona
Ca sagliess stu muntagnone
Stu muntagnone stamm saglienn
Quanta grazia che stamm avenn!
Io nun me ne vac ra cà
Si sta grazia tu m’hai ra fa.
Cum lucen sti culonne
Song l’uocchi ra Madonna
Cum lucen sti canciell
Song l’ uocchi ro Bambiniell
Oi Madonna quant si bell
Che nce fai nda sta cappell?
Che nce fai o Santa Vergine
Oh Madonna di Montevergine?
Oh Madonna che stai riposta
Librac l’Italia nostra.
Si sta guerra fai fermà
T venimm a ringrazià
Che bell’uocchi ca ten a Madonna
Che m paren ddoi stelle!
|
Analisi linguistica del testo
Ra:
rotacismo. Si tratta della preposizione “da”.
Ca:
tipicamente dialettale. È il relativo “che”.
Sagliess:
condizionale tipico meridionale.
Stu:
dimostrativo aferetico.
Stamm:
prima persona plurale del verbo “stare”. La desinenza
è tipica del napoletano.
Vac:
sarebbe “vado”. Tipico del campano.
Cum:
forma etimologica derivata direttamente dal latino.
Lucen:
voce del verbo “lucere”, ovvero “illuminare”. Molto
utilizzato nel Medioevo, soprattutto nei verbi
semplici, quasi per niente nei tempi composti.
Song:
“sono”. La g probabilmente è aferetica anche in questo
caso.
Uocchi:
metafonesi.
Canciell: metafonesi.
Bambiniell:
metafonesi.
Si:
sincope di E. la terza persona singolare del verbo
essere in napoletano, è tradizionalmente “si”.
‘nce:
deriva dal latino INCE. Usato qui con funzione
locativa e con aferesi della I iniziale. È tipico dei
dialetti meridionali.
Nda:
deriva dal latino INDE. È qui usato con significato di
“dentro” ed è univerbato con A preposizione. In
italiano sarebbe “dentro a”.
Librac:
“liberaci”: sincope di E e caduta di I finale.
Fermà
- Ringrazià: infiniti tronchi.
Ten:
è tipicamente dialettale; infatti manca il dittongo
fiorentino.
Ddoi:
raddoppiamento fonosintattico e metaplasmo.
LE TRADIZIONI POPOLARI
La “Zeza” è una rappresentazione tipica di tutti i
paesi d’Irpinia e della Campania in generale. Essa
varia, da paese a paese il nome dei personaggi e le
battute dei dialoghi, ma ha sempre alla base la
storia delle vicende di Pulcinella, padre geloso e
tanto innamorato della figlia che non vuole farla
sposare, contrariamente alla moglie Zeza, donna
intrigante e ruffiana, che fa in modo che Vicenzella
si incontri e scambi la promessa di matrimonio con don
Nicola dottore ('o studente) in legge. La Zeza
di Forino è in alcune parti cantata ed in altre
recitata, è accompagnata dalla “banda piccola”,
dal "ballo ‘o intreccio" e da vari personaggi.
Accanto ai personaggi principali, ci sono, a Forino,
anche quelli dei mestieri, un tempo numerosissimi come
lo scarparo, il ramaro, ‘o pisciaiuolo, ‘o castagnaro,
‘o ricuttare, ‘o fravecatore, ‘a capere, l’avvocato,
‘a lattare, ‘o dottore, ‘o primarie, ‘o cardinale, ‘o
nutare, ‘o prevete e ‘a lavannare. La tradizione della
zeza forinese è oggi andata quasi del tutto persa,
lasciando spazio, negli ultimi anni solo al
tradizionale “ballo ‘o ‘ntreccio”, continuato
dalla piccola frazione di Petruro. Il ballo consiste
in una serie continua di intrecci e raffigurazioni che
i ballerini effettuano con cerchi variopinti sul ritmo
della “Tarantella Martignanese”. Sono ancora una volta
le poesie del professor Enzo Finelli ad accompagnare i
personaggi della tradizionale zeza. Infatti, in
occasione della zeza del 1975 che si svolse nella
frazione di Celzi, il professore scrisse le poesie per
i personaggi che rappresentavano i mestieri e una
sorta di canto popolare in cui enumera dolci e
tradizioni del carnevale forinese. |
Carnevale
- Enzo Finelli
‘O tiemp ‘e Carnevale
Ritorna l’allegria!
Ogni pazzia vale
S’ camp e fantasia!
‘E struffl, ‘a lasagna,
‘o migliaccio, ‘e frittelle,
‘o torten ca’ ‘nzogna,
tarall e tracchiulelle
so’ cos sapurite,
ca’ t fann arrecrià.
‘e vvot rann ‘a vit
‘o sapor ra bontà!
Te viest, t cumbin,
mo può esse chi vuò tu!
Pulecenella, Arlecchino,
Carlo Magno, Re Artù,
‘nu conte, ‘na reggina
‘nu ricc o ‘nu pezzent,
‘o pegg malandrino;
t mmisch mmiezz ‘a foll;
chi si niusciun o sap,
può cuntà nu sacc e pall
senza fa patì ‘a cap.
P’ chest e ati cos
È bell Carnevale,
ma è pericoloso
‘e vvot po’ fa mal,
si mmiezz a ggenta bon
se vest ‘o malament
‘o faves, ‘o mbruglion
E chi nun cont nient!
‘O ver Carnevale
Allegro e senz’affann
Ra mò fin a Natale
Durass senza dann!
|
Analisi linguistica del testo
Tiemp:
metafonesi.
‘e:
sarebbe “DE” aferetico. Tipicamente dialettale.
Torteno:
sarebbe “tortino”.
‘nzogn:
in italiano è “sugna” ovvero grasso di maiale. C’è la
prostesi di IN con successiva aferesi di I. c’è poi la
sonorizzazione dell’alveolare fricativa.
Tracchiulelle:
è il nome napoletano delle costolette di maiale.
Arreccrià:
termine napoletano che significa divertirsi.
Viest:
metafonesi.
Esse:
apocope di “RE”. È la forma etimologica del verbo
essere.
‘nu, ‘na:
articolo indeterminativo aferetico. Deriva dal latino
UNUM e UNAM. In entrambi i casi è caduta solo la
desinenza M.
Reggina:
raddoppiamento del parlato.
Cuntà:
il significato letterario è “raccontare”. È aferetico
e ha l’infinito in –à.
Sacc:
apocope della finale.
Fà:
infinito in –à.
Patì:
infinito tronco.
Ccose:
il raddoppiamento fonosintattico sottolinea che si
tratta di un neutro.
‘e
vvot:
raddoppiamento fonosintattico.
‘a
ggente:
raddoppiamento fonosintattico dovuto al neutro.
Faves:
epentesi. Rende il suono più facilmente pronunciabile.
Ra:
rotacismo.
Rurasse:
rotacismo.
I PERSONAGGI DELLA ZEZA: I MESTIERI |
L’avvocato
– Enzo Finelli
Io so’ l’avvocato re’ cause perz
‘e cos dritt a’ vot ‘e smerz;
difend ‘o mariuol e chi è sincer:
‘a ggent innocent a mann ‘ngaler!
Mo nce sta l’IVA, ‘na novità
Ma si me ce mett ai voglia ‘e mbruglià!
Se arringo me piglio ‘a parcella
… na fesseria:
‘o puorc e a vitella!
Quann è ‘o mument ra difesa,
adderizz ‘o cappiell
‘ntost’ a tes,
pigl a parola
accummenc alluccà,
si nun me fermano,
‘o me ‘ntorzen ‘e mol’
Senza speranza
‘e facc arrestà!
|
Analisi linguistica del testo
Re’:
apocope di –lle e rotacismo.
A’ vot:
letteralmente “alle volte”.
Smerz:
tipicamente napoletano. Sta per “rovescio”.
Mariuolo:
metafonesi.
‘a ggent:
raddoppiamento dovuto al neutro.
Ngaler:
univerbazione della preposizione IN, aferesi di I
iniziale e di A finale.
Mann:
“mando”: il nesso ND si trasforma in NN (come “munn”
per “mondo”)
Mo:
viene usato con significato di adesso. Ancora forte
nell’uso, è tipico del napoletano.
Nce:
deriva da INCE. Ha funzione locativa. C’è l’aferesi di
I.
Ai voglia:
è tipico del parlato napoletano. Può significare allo
stesso tempo “magari” e può essere usato per riferirsi
ad una quantità esagerata e indefinita.
‘mbruglià:
aferesi di I e passaggio di O ad U, tipico del
napoletano.
Puorc:
metafonesi.
Vitella:
metaplasmo. Nella varietà locale, è usato in realtà il
termine “vacca”. Probabilmente qui, vitella ha un uso
giustificato da obblighi di rima.
Ra:
rotacismo.
Adderizz:
aferesi di R iniziale e metatesi di ER.
Cappiell:
metafonesi.
‘ntost’:
aferesi e apocope.
Tes:
caduta di I finale.
Pigl:
l’uso di “pigliare per prendere è tipicamente
napoletano; qui c’è la caduta della finale.
Accummenc:
dal latino CUM INITIARE. C’è una
prostesi e un raddoppiamento.
Alluccà:
infinito tronco. Sta per “urlare”. |
‘a lavannara
– Enzo Finelli
‘E ‘stu paes so’ a lavannara,
lavo e scejio pe’ poch denar,
e pann janch e chill ‘e culor
e turcilej int’ a manc mezz’ora.
Si faccio ‘a culata e ghiesc ‘o sole
E cammise addoren com ‘e viole!
Quann lavo e ‘o sole nun ghiesce,
‘e pann n’addoren e mi ricresce!
E pann spuorc ra famiglia
‘e facc ascì na meraviglia.
Ro cupellon song a ‘a regina,
lav mutand, lenzole e mappine!
|
Analisi linguistica del testo
‘e:
“de” aferetico.
‘stu:
questo. Aferetico.
Janch:
bianchi. Il nesso B più iod si è risolto in iod.
Turcilej:
è un verbo tipico napoletano: “turciuliare”:
stritolare, stringere forte.
Si faccio ‘a culata e ghiesc ‘o sole:
si tratta di un modo di dire tipicamente forinese.
Ancora oggi fortemente in uso, sia tra i giovani che
tra le persone più anziane. Il senso sarebbe: Se
faccio una cosa ed ho fortuna.
Cammise:
raddoppiamento tipico napoletano. È un francesismo.
Spuorc:
metafonesi.
Cupellon:
pentola dalle grandi dimensioni. Forino è un paese
fortemente agricolo e dunque i “cupelloni” sono ancora
oggi presenti in molte famiglie ma sono usati per lo
più durante scampagnate e per i lavori in campagna.
Mappine:
stracci da cucina.
LA TRADIZIONE AGRICOLA
Forino è un paese ancora oggi fortemente agricolo. I
mesi di settembre ed ottobre, sono noti per la loro
freneticità e per la nuvola di polvere che circonda
tutto il paese. Essi sono infatti i mesi in cui si
lavorano nocciole e castagne, da sempre risorse
primarie del paese. Ho scelto dunque di analizzare
alcuni termine legati essenzialmente a questo mondo.
Termini ancora in uso
NUCCELL: sono le nocciole. La O si chiude in U. c’è la
caduta della finale.
MATRONGOLE: si tratta dei coleotteri, insetti che
durante il mese di maggio “infestano” l’intero paese
proprio perché attirati dalle piante di nocciole. Da
una piccola indagine nei paesi limitrofi ho
riscontrato che si tratta di un termine utilizzato
solo a Forino.
ARRUNNA’/ RRUNA’: per quanto riguarda questo verbo;
che denota l’attività di raccolta delle nocciole,
abbiamo l’alternanza, negli stessi parlanti di
entrambe le forme.
FONN’: sono dei solchi scavanti intorno alle piante di
nocciole per favorirne la crescita. Probabilmente sta
per “fondamenta”.
PAMPN: sono le “pampine”, notoriamente foglie di viti,
qui indicano le foglie in generale.
‘E CUCC’: i conigli. Forse sta per “i cuccioli”.
‘VVUIGNA: è un ramo lungo che deve il suo nome al
suono che fa quando lo si muove. È dunque una parola
onomatopeica.
TREPPT: probabilmente si ha l’univerbazione delle due
parole: tre-piedi. Si usa per indicare una sorta di
scala in legno a tre piedi, utilizzata nei lavori in
campagna.
LLEMMT: “il limite”. Utilizzato per indicare il limite
tra la campagna e la strada o i vari livelli di una
campagna costruita a terrazzamenti. C’è il
raddoppiamento e la sincope di I.
‘O SURC: indica il “solco”. C’è il rotacismo.
‘A CURTELL: sarebbe il machete. Ha subito un
metaplasmo e rotacismo.
RASTRIELL: rastrello. C’è la metafonesi.
Termini persi nell’uso
‘A PASTNAC: fino a circa trent’anni fa era il termine
usato per indicare la carota. Oggi è completamente
perso nell’uso e praticamente vivo solo nella memoria
di qualche anziano che comunque ha smesso di
utilizzarlo.
CRIV: era una sorta di setaccio anticamente usato per
cernere il grano. Questo termine è andato
completamente perso nell’uso.
MATRELL: contenitore nel quale veniva impastata la
farina.
ZAPPACCETT: arnese per i lavori agricoli che aveva su
di un lato la zappa, sull’altro l’accetta.
‘A SPORT-‘O SPURTON: indicavano rispettivamente la
cesta più piccola e la più grande nelle quali di
solito venivano portati i prodotti raccolti in
campagna.
PEZZUOC: legnetto utilizzato per bucare il terreno e
seminare.
CONCLUSIONI
Come risultato di questa analisi linguistica sul
dialetto del mio paese, soprattutto in relazione ad
alcuni tratti tipici del parlato, mi sento sicura
nell’affermare che il dialetto di Forino si discosta
da quelli tipicamente irpini. Appartengono al mio
dialetto tutti i tratti tipici del campano (metafonesi,
presenza del neutro, caduta della finale, articolo
aferetico ecc.) ma sono molto più numerosi i punti in
comune con la varietà napoletana che non con quella
irpina. La varietà forinese, infatti, non ha alcuna
caratteristica che la avvicini a quelle dell’alta
Irpinia, ne sembrano esserci (soprattutto dall’analisi
del parlato) molti punti in comune con la varietà
avellinese. Sebbene dunque storicamente ed
emotivamente appartenente a quella provincia che fu
spesso definita “terra di briganti”, Forino ha una
varietà linguistica che se ne discosta e che riprende
invece tratti tipici napoletani e ciò si deve
probabilmente alla signoria dei principi napoletani
Caracciolo, che dunque forse influenzarono fortemente
Forino non solo con le loro leggi e la loro cultura,
ma probabilmente anche con la loro varietà
linguistica. |
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